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Forse è il destino di Milano, e dovremo abituarci. La Mediolanum dell'Expo 2015 è sempre più in medio ma ciò che le ruota intorno e che tenta di inglobare, non è soltanto la piana del Po o il resto d'Italia, gli immigrati del treno del sole con la valigia di cartone: bisognerebbe chiamarla Mondolanum, una megalopoli globale alla Blade Runner. Pentolone ribollente di etnie e di culture, che col suo skyline futuribile da stazione orbitante di Guerre Stellari copre un arcipelago di banlieue pronte a esplodere.
Due cose sono sicuramente cambiate in meglio a Milano: i trasporti e il verde pubblico. Con tre linee di metrò e il passante ferroviario ti sposti da un punto all'altro della città, anche se non dappertutto, con una rapidità non lontana da quella delle grandi capitali europee. Quanto al verde, i giardini Palestro sono stati liberati dagli ultimi orsi in gabbia, e sono diventati un'oasi di quiete paragonabile al Luxembourg. E parco Sempione, che venti o trent'anni fa era spelacchiato, cosparso di cartacce e inzaccherato dalle salsicce dei festival dell'Unità, ora è recintato e ben curato (anche se qualche bell'ingegno vorrebbe piazzarci una ruota gigante stile Prater).
Forse non vedremo i novantamila alberi promessi a Claudio Abbado. In compenso, presto avremo i giardini verticali, vertiginose cascate di verde sulle facciate dei nuovi grattacieli dell'Expo. Molti si stanno attrezzando per portare a spasso i loro cani con corde e ramponi. È la città che sale: e chi resta a terra, a rimpiangere il passato, tanto peggio per lui (o lei). Se ha bisogno di tirarsi su, non vada a cercare i «trani a go-go» cari a Giorgio Gaber. Ora ci sono le enoteche. Invece del Valpolicella, la vecchia zitella può inciuccarsi di spritz all'happy hour. O prendersi un antidepressivo, e farsi un bel sonno fino al 2015.